“Io, cieco, che posso vedere il vento”

Nella carta stampata, che sempre più spesso raccoglie notizie drammatiche, sanguinose e da far rabbrividire, è piacevole talvolta imbattersi in storie semplici, ricche di emozioni, coraggio e serenità; una carica di ottimismo capace di commuovere e di far “vedere” il calore del sole e le dolci carezze del vento…
Un grazie all’articolista e al protagonista di questa vicenda, protagonista con il quale, tra l’altro, ho avuto modo di comunicare durante un progetto legato alla cecità con una delle mie classi di qualche anno fa.

Io, cieco, che posso vedere il vento
di Cristina Ferrari (LaRegione, 27.02.2013)

Ha il fuoco della vita dentro di sé Marco Lavizzari. Un uomo che ha saputo superare con grande coraggio un ostacolo che il destino gli ha messo davanti 18 anni fa, quando un glaucoma ha portato via i suoi occhi e molti progetti. Un destino però che non è riuscito a fermare i tanti sogni.
Cieco nella vista, ma non nel cuore, Marco Lavizzari, 58 anni, residente nella frazione poschiavina di San Carlo, è spesso nel Luganese. Membro di Unitas è fra i referenti scolastici impegnati a portare fra i giovani studenti un messaggio di speranza e di maggiore comprensione del mondo di chi vive, e subisce, un andicap. Grande sportivo (amante dello sci e delle camminate in alta montagna), lo scorso settembre ha oltrepassato una nuova barriera, decidendo di mettersi al timone di una barca a vela di 14 metri. Con lui l’equipaggio del Cruising Club Svizzero di Pregassona capitanato dallo skipper Giorgio Ricci e dai “marinai” Alessandro Intimi, Beatrice Irigoyen, Elisa Lanzi e Paul Leonard.
« È stato un colpo di fulmine – comincia il suo racconto Marco –. Devo tutto all’amica Elisa che con la sua semplicità mi ha chiesto se mi sarebbe piaciuto salire a bordo. La sera ne ho accennato a mia moglie che mi ha detto: “Se ti fa piacere…”. Ho risposto subito di sì ».
Iniziano i preparativi. Tutto viene definito. Meta la Grecia e le acque cristalline dello Ionio, fra le isole di Paxo, Lefkas, Itaka e Zante. « Un’esperienza che all’inizio, a dire il vero, ho affrontato con una certa “tremarèla” – ammette con sincerità Marco . – La mia prima esperienza in barca a vela… Una data e un ricordo che non dimenticherò facilmente ».
Poi piano piano affiorano tanti flashback. « La barca a vela è bella da vedersi – annota lo stesso Marco – è silenziosa nella sua velocità. Quando mi trovavo seduto sulla prua, sentivo i vari rumori, o per meglio dire, le varie melodie: l’acqua che sbatte sul bordo della barca, le nuvole che sorvolano la nostra barca con il loro leggero fruscio, il vento che riempie la vela con la sua forza e la spinge… ».
E là dove la vista non coglie tutte le sfumature della natura, lui, cieco, raccoglie molti “segreti”: « Col cuore stracolmo di felicità ho assaporato le variazioni del vento e la sua velocità, percepivo la sua forza nell’inclinazione della barca, da come cioè rendeva duro il timone, sentivo che mi accarezzava il viso ed… ero libero. Che sensazioni! ».

La forza della volontà

Ma, vi chiederete: un cieco come fa ad andare in barca a vela? « Semplice – è la risposta del nostro interlocutore – risvegliando e puntando sui quattro sensi. Il leggero batter delle onde mi dava informazioni sulla velocità di navigazione, il silenzio rassicurante delle vele e l’inclinazione della barca, mai esagerata. Senza accorgermene sono entrato a far parte dell’equilibrio di tutti questi elementi grazie a una rilassata concentrazione della mente che percepiva le cose in un modo nuovo. La vela per il cieco è fatta di molte sensazioni date da rumori, fruscii e sbatter di vele. Un senso di libertà impagabile che ho voluto cogliere e condividere con l’equipaggio durante le conversazioni a bordo ».
Per Marco quella goia è ancora presente attraverso le sue parole: « Sentire il vento con la pelle, sapere dove è la terra annusandone il profumo, toccare la barca palmo a palmo e costruirsi così la propria immagine fotografica. Ecco come è possibile per un cieco orientarsi in mare su una barca a vela ».
Per un cieco, infatti, fondamentale è sfruttare tutte le sensazioni che provengono dagli altri sensi: udito-tatto-olfattogusto. I primi due sono sicuramente fondamentali, ma anche l’olfatto e il gusto aiutano il cieco. In mare l’olfatto porta a sentire l’odore di pioggia prima dell’arrivo di un temporale, sconosciuto ai moderni velisti normodotati, in quanto, da tempo, le strumentazioni a bordo hanno tolto loro questo piacere.
Il gusto aiuta a capire se gli spruzzi sul viso sono gocce di pioggia o schizzi delle onde del mare. L’udito comunica le mille informazioni al cieco velista: l’onda che frange sulle fiancate della barca con il suo rumore trasmette la sua altezza e lunghezza e la sua velocità: « Il suono in lontananza di un motore o di una sirena sono le emozioni del mondo marino – aggiunge Marco – il canto allegro di un gabbiano segnala la vicinanza della terra o di un porto. Del resto, i normodotati non vedono il vento in quanto l’aria che lo genera è trasparente e quindi invisibile. Il vento… quanto è importante, è la magia che muove le barche a vela ». La durezza trasmessa dalla pressione dell’acqua sul timone, aiuta il cieco a percepire le varie sensazioni, i suoi sensi non sono più sviluppati, li usa e basta.

Un tuffo nella libertà

Il mare, perché allora non provare a tuffarsi libero in acque profonde senza salvagente o altri limiti? « I miei compagni di avventura mi hanno invitato a fare questa esperienza. Mi sono fidato di tutti, ci ho provato, con il cuore in gola ho spiccato il primo tuffo… che sensazione, troppo bello! Mai avrei pensato di lanciarmi in acqua dal bordo della barca, invece di usare la scaletta… », pensa con emozione a quei momenti Marco.
« Tornato a terra nella mia quotidianità, la mente, spesso all’improvviso, ritorna a quelle immagini. È stata un’esperienza che non scorderò mai. Nella mia memoria sono indimenticabili le voci dei compagni di avventura » non manca di dirci il moderno navigatore.
« È quello che c’è dentro che colora la nostra vita – sono le ultime parole che attestano un carattere eccezionale. – Mai avrei pensato di poter fare un’esperienza simile. Ma purtroppo le cose belle finiscono in fretta e, infatti, sette giorni sono letteralmente volati. Così dopo i saluti, qualche lacrima e le promesse di risentirci, abbiamo dovuto lasciare la nostra barca, dopo che per una settimana è stata la nostra casa. Ho filmato nella mia mente ogni istante, questo mi darà modo di riviverla ogni attimo e fare tesoro di ogni minuto vissuto »