Finzione che diventerà realtà?


Il film tutti l’hanno visto; noi l’ultima volta, tra un Ligretto e l’altro, qualche giorno fa…
Cosa mi tocca leggere oggi sul sito del Corriere della Sera? Guardate qui cosa scrive la giornalista Claudia Voltattorni. Semplicemente scioccante…

La Wintour e la rivale. Come nel film
La direttrice di Vogue America sostituita dalla collega francese? Il New York Times apre il caso

Sembra un déjavu. Stessa storia, stessi protagonisti, stesso epilogo. Forse. La vita reale che va dietro al cinema. La perfida signora in caschettone e occhialoni scuri. La fresca ridente francese. Anna contro Carine. Un’Eva contro Eva a colori e con i tacchi altissimi. Ne sopravvivrà una sola, quella che riuscirà a tenersi più pubblicità (in un momento di dura recessione economica). Sullo schermo vinceva la tradizione, la matura americana si teneva la sua remuneratissima poltrona su Times Square.

Era il 2006 e Meryl Streep era Miranda Priestly, potentissima direttora di Runway, bibbia della moda mondiale, nel film Il diavolo veste Prada, dall’omonimo libro di Lauren Weisberger, ex assistente della vera Miranda. Cattivissima nel film, cattivissima nel libro. E pure nella realtà, dove Miranda si chiama Anna Wintour e da vent’anni è il numero uno di Vogue America, cioè la donna più potente del fashion business, detta Nuclear Wintour (ma lei ha fatto sapere di non amare il nomignolo che quindi subito è scomparso dai giornali), o regina di ghiaccio. Londinese, quasi sessantenne, figlia d’arte (padre direttore di quotidiani), la Wintour decide ciò che è moda e cosa ormai è out, stabilisce chi sarà il designer del futuro e chi ormai è storia (di Armani disse: «èra passata»), il suo comportamento ad una sfilata (quando decide di presenziare) ne decreta (o meno) il successo, non si concede quasi mai, ai party resta sì e no una mezz’ora e va a letto sempre entro le 10 e mezzo.

Tutti hanno paura di lei, ognuno fa a gara per assecondare le sue esigenze, nessuno la contraddice. Nuclear Wintour è potere allo stato puro. Proprio come Miranda Priestly-Meryl Streep. Fino ad ora. Perché da qualche mese il vento sembra essere cambiato, anche per Anna Wintour. Gira il nome di Carine Roitfeld, francese classe ’54, direttora di Vogue Francia e possibile nuovo numero uno di Vogue America. Come nel film. Dove la francese Jacqueline Follet è candidata al posto di Miranda. E pure lei dirige l’edizione francese di Runway. Capelli sulle spalle, meno autoritaria, sempre sorridente, disponibile con il prossimo: Carine Roitfeld potrebbe essere la nuova faccia di una «bibbia» che comincia a far sentire i suoi anni. Tra i lettori, che inviano lettere di critica per dire «basta con i soliti famosi, a chi importa cosa fanno e come vestono Paris Hilton, Gwyneth Paltrow e Nicole Kidman?». Ma anche, e soprattutto, tra chi fino a poco fa mai avrebbe osato criticare la direttora, cioè gli addetti ai lavori.

Il New York Times due giorni fa ha definito Vogue «stantio e prevedibile». Applausi alla Wintour, «l’ultimo vero direttore di moda, capace negli ultimi vent’anni di aggiornare Vogue e riflettere i cambiamenti nel mondo e nella vita delle donne», lei che «ha scoperto fotografi come Peter Lindbergh e Steven Meisel», lei che «capisce i suoi lettori e parla con incredibile autorità agli inserzionisti». Ma anche per la regina di ghiaccio, il tempo passa. Solo che sembra non se ne renda conto. Secondo il Nyt: «Troppe storie sulla mondanità » e «sulle ville in Toscana». Nessuna attenzione «per le ventenni, escluse le famose». «Imbarazzante » poi il numero di dicembre sulla recessione: «Un giornalista è stato mandato a scoprire lo charme di posti come WalMart e Target (grandi magazzini popolari, ndr) ». E sì che la signora si professa liberal e ha appoggiato l’elezione di Obama. Ancora: « Vogue e tutta l’industria del fashion devono trovare un modo per affrontare la nuova realtà in cui la gente avrà sempre meno soldi». Magari la francese Carina Roitfeld non farà il miracolo, come la sua alter-ego cinematografica Jacqueline non batterà Anna-Miranda, però se perfino l’americano New York Times (che nonostante tutto pende verso Nuclear Wintour) si spinge a dire di lei: «Ha reso eccitante Vogue Francia» e «sa come giocare con le abitudini autoreferenziali della moda», forse la perfida direttora deve cominciare a preoccuparsi.